2 anni e mezzo dopo!

Ed ecco che l’avventura per ritornare negli USA dall’Italia ai tempi del covid ha dato finalmente un senso al titolo del blog martina road to usa!

Tutto e’ cominciato per colpa di quel falegname che mi ha operato la mano la prima volta..quindi vola in Italia il 22 febbraio per fare una seconda operazione, e due settimane di Ospedale si sono trasformati in 4 mesi di quarantena bloccata in Italia.

Nemmeno arrivo, e guarda caso proprio Codogno fa scatenare il pandemonio con il primo deficente che ha contratto il virus in Italia. Non ci si poteva comunque aspettare nulla di buono da Codogno e i pastori che vi ci abitano. Ed ecco che quando Trump blocca l’ingresso negli USA dai paesi europei, io sono appena uscita dall’ospedale e ho ancora i punti alla mano, con una nuova cicatrice che ricorda la firma di Zorro.

Dopo 4 mesi bloccata in Italia in pieno lockdown che non oso nemmeno a descrivere, 14 giorni in Croazia sembrano essere l’unica via possibile per scappare dall’Italia e ritornare a casa a Tampa. Due settimane relegata in una villetta nella meravigliosa Dubrovnik a 50 metri dalla spiaggia piu’ bella della città non sono orribili, ma prima di raccontare l’avventura in Croazia, non posso non riportare nero su bianco l’esperienza a Napoli nell’Ospedale dei Pellegrini, che solo a ripensarci mi sembra cosi’ assurda e paradossale da poter essere la sceneggiatura di un film!

Premessa: ho sempre avuto una grande avversione per Napoli e per i napoletani, da sempre direi. Per non parlare dei problemi soli della città, ho sempre trovato i napoletani troppo chiassosi, buffoni, teatrali e presentanti tutte le caratteristiche di personalità che proprio non mi vanno a genio. Ebbene tutti questi tratti di personalità tipici dei napoletani si sono rivelati essere la mia piu’ grande compagnia nei 10 giorni passati ricoverata in ospedale. Eh si, perchè a Napoli anche per una semplice operazione alla mano bisogna mettersi in una lista d’attesa infinita inimmaginabile, nemmeno fosse la piu’ sofisticata operazione al cervello. Non appena sei fortunato abbastanza da essere chiamato dall’ospedale in un giorno qualsiasi totalmente inaspettato, nel giro di qualche ora corri in ospedale a prendere il posto. Letteralmente. Occupi il posto letto per un tempo indefinito, non si sa quando verrai operato, ma intanto devi occupare il letto e godi di vitto e alloggio gratis per giorni. Il cibo a mio parere e’ alquanto delizioso, una pasta e patate cremosa degna dello chef su facebook che mi ha insegnato a fare la carbonara di zucchine.

E così mi sono ritrovata per 10 giorni in quello che è stato rinominato il reparto della banda di chirurgia della mano, una vera e propria gang composta da personaggi piu’ unici che rari ai quali io e Marina, la mia dolce compagna di sventura nella stanza, abbiamo affibbiato soprannomi ben accurati. A partire dall’avvocato, ossia l’infermiere Cesare, che fa quotidianamente il suo ingresso nel reparto con un trench impermeabile lungo fino alle ginocchia e la borsa 24 ore da avvocato, cammina tra i corridoi dell’ospedale come se fosse in un tribunale penitenziario facendo la faccia dura per le stanze di giorno e poi di sera si addolcisce se viene invitato alle festicciole di reparto. Un idolo, che ha capito la mia indole alcolica e mi ha anche portato le birre fredde in reparto direttamente dal bar di fronte l’Ospedale. Assurdo!

I bar del quartiere sono stati protagonisti attivi dell’esperienza di ricovero. A turno si chiama il bar in reparto e si testano i cornetti caldi al cioccolato. O si chiama Ciro e si va sul sicuro. Oh Ciro, quell’uomo e’ un programma telesivo. Ho anche scoperto che c’e’ un articolo su internet su di lui. Ciro e’ parte integrante dell’ospedale da anni, e’ colui il quale sa a che ora ti svegli e come vuoi il caffe’. Corre su e giu per le scale dell’ospedale dalle 6 del mattino fino a sera tardi, consegnando tutti i beni possibili e immaginabili nei vari reparti. Caffe’, sigarette, calzoni, aperitivi, birre. Puoi commissionarli tutto quello che vuoi, lui ti fara’ pagare un prezzo che e’ gia’ comprensivo della sua commissione. Perche’ Ciro non lavora per uin bar specifico, lui e’ un freelancer, un libero professionista che ha stretto accordi con i bar e ristoranti della zona per consegnare di tutto in ospedale. Compra il caffe a 0.5 cent al bar e te lo rivende a 1 euro, un genio. E guai se ti trova sul tavolo della stanza il caffe di un bar da cui lui non consegna. Alto tradimento. E la cosa buffa e’ che una volta che ordini un caffe tramite lui, sei fregato. Ti ha preso, lo devi ordinare sempre e solo da lui e lui da per scontato che vorrai lo stesso ordine anche il giorno dopo, ma ad un orario deciso da lui. Al mattino ti viene a svegliare e ti scuote nel letto per comunicarti che ti ha lasciato caffe e cornetto sul tavolo. Quante incazzate si e’ presa Marina alle 6.30 del mattino quando lui la scuoteva per svegliarla solo per dirle che la colazione (non ordinata) era servita.

Ciro e l’avvocato sono solo due dei tanti personaggi rari avvistati all’ospedale.

Le guardie nella guardiola fuori dall’ospedale erano altrettanto fenomeni, non solo chiaccheroni ma anche cechi quando si trattava di farci uscire in pantofole e pigiama a fumare una sigaretta o a comprare l’aperitivo.

Poi c’e’ l’infermiere parrucchino, il cui nome si spiega da solo, la dottoressa caporeparto soprannominata la vipera, nome altrettanto autoesplicativo, il chirurgo stronzo, e il chirugo ottico fuori di testa che faceva fumare me e Marina nel bagno del suo ufficio quando non era piu’ permesso uscire fuori a fumare per il covid. Noi abbiamo obbedito quasi sempre, la banda della chirurgia della mano quasi mai. Li vedi uscire dal reparto verso le 8, 9 di sera, con tanto di giubbino e pantofole e dito o mano fasciata, si fanno una camminata per i quartieri spagnolo e dopo quache oretta ritornano tranquillamente in reparto.

Non ci hanno mai invitato ad uscire dal reparto, ma siamo state lusingate di avere ricevuto l’invito di andare a fumare sigarette nel loro ufficio personale, il bagno dei maschi, dove nessuno apparte i pazienti a quanto pare osa entrare.

Sento che non mi sono soffermata abbastanza sulle peculiarita’ di questa banda della chirurgia della mano, sono davvero personaggi da film. Un gruppo di circa 15 uomini/ragazzi/signori, dall’eta’ che vai dai 17 ai 70, con spirito folkloristico napoletano accentuato. Ogni sera, oltre alle passeggiate notturne per Napoli, le passeggiate per tutti i reparti dell’ospedale a fare casino e chiaccherare e le consegne a domicilio di pizze, cornetti caldi a mezzanotte e birre, questa squadra organizzava vere e proprie sagre di reparto con tanto di broccoli, pane fatto in casa, salumi e formaggi. A volte pizza, a volte sagra paesana a base di prodotti tipici a cui tutti sono invitati, compreso infermieri. Poi queste sagre si sono trasformate in vere e proprie riunioni di condominio, con tanto di spazio riservato alle poesie. Eh gia, anche il poeta avevamo tra la gang. L’ingegnere, il poeta, il bombarolo, il designer, chi piu’ ne ha ne metta. Tutti molto particolari e veraci e di sicuro una foto puo’ essere molto piu’ forte di parole.

Ma ci si immagina in pieno covid, in un reparto di ospedle, fare feste e festini ogni sera. Da pazzi.

Da pazzi, eppure ci penso e sorrido e non sono mai stata tanto contenta di essere in un ospedale.

Dopo l’esperienza unica dell’ospedale e i mesi di lockdown bloccata a Salerno, eccomi pronta ad affrontare quello che potrebbe tranquillmente diventare il nuovo film The Terminal 2, con me al posto di Tom Hanks. Che poi ho scoperto che la storia del The Terminal e’ basata sulla storia vera di un rifugiato iraniano che ha passato 18 anni bloccato nell’aereoporto di Parigi, incredibile ma vero.

Dopo un primo tentativo di fuga dall’Italia alla Croazia fallito – colpa di un transito in Germania a quanto pare non possibile per via dei confini chiusi – a meta’ giugno riesco finalmente a prendere un volo diretto per la Croazia ed arrivare in una delle citta’ piu’ belle che abbia mai visitato nella mia vita, Dubrovnik. Una citta’ che sembra scolpita in ogni dettaglio nella roccia, che quando cammini ti incanta tanto che e’ bella e non sembra reale. Ci si sente in un film e non a caso hanno girato qui Games of Thrones (Il trono di spade da noi).

La citta’ e’ piena di storia, risale al 600, quando le tribù croate si espansero in quest’area in cerca di un rifugio dai barbari. Le tribù formarono un gruppo di piccoli insediamenti che, gradualmente, si fusero insieme andando a formare una singola città difesa dalle mura che tutt’ora circondano il bellissimo centro storico che affaccia a capofitto sul mare Adriatico.

In italiano e’ chiamata Ragusa, dal nome iniziale che la citta’ aveva. Poi si uni’ con dubvronik, insediamento che prende il nome dal tipo di legno dub della zona, e purtroppo non dal genere di musica dub. La storia e’ ricchissima di eventi, ma sicuramente importanti influenze nella crescita dello splendore della citta’ sono stati l’impero bizantino, la repubblica di Venezia, l’Impero Ottomano e la dominazione austriaca, fino a diventare parte una delle sei repubbliche del Regno di Jugoslavia e alla fine del 900’ un paese indipendente.

Io di Dubvronik mi sono innamorata, lo merita tutto il soprannome di perla dell’Adriatico.

Non e’ solo il centro storico, la chiesa di San Biagio, la Cattedrale, il mare cristallino che la rendono bellssima, ma tutta una serie di stradine di pietra che salgono e scendono attraversando la citta’, da cui si scorge il mare o semplicemente altri vicoletti e scalini di pietra ovunque come se fosse la sceneggiatura di una storia ambientata in una città fiaba.

La mia giornata tipo a Dubvronik: al mattino colazione con vista piscina e poi relax alla spiaggia situata a 50 metri dal mio appartamentino. Il mare e’ come se fosse una piscina croata gratis sotto casa.

Camminata post spiaggia per il centro storico e pranzo, per poi cominciare a lavorare dalla piscina dalle 3 alle 11 baciata dal sole fino almeno alle 7. Nei due weekends che ho passato li’ ho visitato un po’ i dintorni, tra cui la bellissima isola dei conigli – non quella di Lampedusa, ma un’isola letteralmente invasa da conigli e farfalle, nonche’ pipistrelli con addosso il GPS e pavoni a zonzo tutto il giorno.

Non ho risparmiato di visitare i baretti, nonostante fossero vuoti per il lockdown. Il mio preferito che e’ assultamente da visitare e’ il bar Buza: un bar completamente nascosto fra le roccie e impossibile da raggiungere se non si riceve qualche indicazione. Bisogna camminare per i vari vicoli, arrivare al castello e capire che il buco nella roccia ad un certo punto e’ l’entrata del bar.

Da qui si ha secondo me la vista piu’ bella di Dubvronik. E’ un bar incastrato tra le rocce a picco sul mare e da cui ci si puo’ anche tuffare se si vuole.

Non e’ un bar formale o stravagante, eppure potrebbe essere uno di quei bar super pretenziosi dove organizzare eventi esclusivi. Non c’e’ alcuna scelta di alcolici o birra, solo la birra locale. Difficile da dire quale sia stata la birra piu buona visto che tutte e 3 sono state bevute da mezzo litro in sequenza. La prima di sicuro era molto buona e corposa, le altre sono perse nella memoria. Almeno ho salvato i nomi nonostante l’ebbrezza alcolica: Karlovačko, Ožujsko e Pan Zlatni, tutte e 3 lager bionde. Quello che mi ricordo e’ che la Ožujsko e’ come la nostra nastro azzurro, la Karlovačko ha la bandiera croata sull’etichetta e la Pan Zlatni appartiene al gruppo Carlsberg e direi che sono molto simile.

Il tempo sembra andare piu’ rilassato qui, i croati sono seduti ai vari angoli della citta’ immobili a fumare, sono gentilissimi e guidano pianissimo. Non si arrabbiano facilmente. Addirittura un giorno al supermercato un signore alla cassa di fronte a me ferma la fila per piu’ di 5 minuti per andare a prendere la carta di credito in macchina e nessuno dice una parola, nessuno si e’ lamentato. Sono davvero molto gentili e affabili. Un pizzaolo un giorno ha deciso di mangiare la pizza con me al tavolo e interrompere il suo lavoro (a dir la verita’ non molto occupato quel giorno) solo perche’ ero un’italiana che mangia la pizza. I proprietari del appartmento che ho fittato mi portavano le ciliege, more e mirtilli freschi ogni giorno, talmente tanti che ho dovuto dire di aver avuto una reazione allergica pur di non farmeli portare piu’, vaglielo a far capire che mi piacevono solo le ciliegie di tutto quel mega cestino di frutta.

Solo i piccioni croati sono molto aggressivi, e sono ovunque. Uno mi ha anche cagato amabilmente addosso, sul braccio. Fortuna che con il covid portiamo tutti dietro l’amuchina.

Sono rimasta colpita da altre due cose: l’efficienza dei trasporti pubblici – il bus arriva in orario e si puo’ fare il biglietto a bordo, piccola grande innovazione che a Salerno non e’ ancora arrivata – e la passione che hanno per lo sport. Appassionatissimi di ogni sport ma sopratutto di pallanuoto, conoscevano anche i nomi dei giocatori della Rari Nantes di Salerno assurdo.

Come al solito non sono la persona piu’ indicata a fare recensioni culinarie. Suppongo mangino molto pesce visto che la citta’ si trova sul mare, ma comuque in generale la qualita’ del cibo sembra abbastanza scarsa, ovunque il menu’ sembra molto turistico ed un mix tra falsa cucina italiana e cucina mediterraea in genere, nonstante si affacci sul mar adriatico. Il pane mi e’ sembrata l’unica cosa che davvero valeva la pena magiare. Morbidissimo e con farina gialla.

Parlano inglese molto bene, forse perchè è una città turistica. O forse e’ anche un pò troppo chiamarla città visto che la si puo’ visitare letteralmente in un giorno. Eppure in 15 giorni io non mi sono mai stancata di passeggiare per quei vicoli fantastici.

Dubvronik sembra avere proprio tutto, mare, relax, divertimento in tempi non covid, montagna, isole e parchi.

Sembra molto vivibile e anche se in questo periodo tutto sembra si sia rallentato. Nelle due settimane li’ la citta’ e’ passata da citta’ fantasma con me unica turista e non obbligo di mascherina a citta’ lentamente invasa da turisti tedeschi con obbligo di mascherina.

Prima di rimpatriare negli US, passo 24 ore a Zagabria, ancora incerta sul successo del mio volo il giorno dopo. Ho prenotato il primo volo durante il covid che volava da Zagabria in Turchia e da Istanbul a Miami e non si riusciva a capire se mi avrebbero fatto entrare negli Stati Uniti o meno.

Quello che mi e’ rimasto di Zagabria e’ l’impressione di ordine, pulizia e bici ovunque. La citta’ e’ un mix tra internazionalita’, modernità e storia. Gli angoli e scorci della citta’ mi ricordano quelli di Bristol. Piccoli vicoletti antichi e locali eleganti in piazze tipicamente europee.

Alla fine di quella che e’ stata una quarantena vacanza in Croazia, riesco a volare in Turchia ed essere ammessa al volo per Miami, pronta a riprendere l’avventura americana da dove l’avevo lasciata!

Con affetto,

Marti

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